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      No; noi non lo vogliamo a dettarci questa sua tarda legge; noi lo abbiamo preceduto; abbiamo accolto tutto il ridicolo, tutti li sdegni, tutte le platealità della critica urlante alle nostre piste, mentre egli veniva acclamato, non so come, senza essere compreso; perché, in lui, all'infuori del rumore che fanno le parole per venir parlate, non v'è altro da sapere e da conoscere: e noi soli e deliberati lo abbiamo sorpassato. Nessun ingombro di folla ci limitò l'orizzonte e non abbiamo bisogno del suo programma-fattuccheria per concedergli tregua. Egli non ha dottrina propria42; è incapace di concepire universalmente; tutto quanto ha fatto è monco, frammentario; la sua opera è una serie di piccoli avvenimenti individuali, poetati con garbo da dilettante. La sua mente non può pensare filosoficamente bastarda di molti padri repugnati. Biascica e balbetta esotiche idee colla sua Lettera contro i Catoncelli della critica: vi parla di grande arte dorica, di eterna gioja del divenire, di giorno di trasfigurazione: tutto ciò impresta e non assimila dalla Origine della Tragedia di Nietzsche; non ha digerito bene; i suoi concetti lasciano intravedere il sigillo originale: non lambicca, non distilla, non estrae, dalle mille osservazioni, un principio generale, una verità sua, una legge nuova, particolare: non conosce il senso dei rapporti, delle intercorrenze; il mondo suo è popolato da fenomeni, non è fatto di fenomeni; egli non conosce il mondo.
      Noi non lo vogliamo per maestro; lo rifiutiamo.


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D'Annunzio al vaglio dell'Humorismo
di Gian Luigi Lucini
pagine 126

   





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