Sì che il mio silenzio47 riguardoso sulla questione, forse male interpretato come accondiscendenza, ora si muta in pubblica e definita avversione, che troverà modo, in sede più adatta, di ragionarsi e di ragionarvi. Per la qual cosa, meglio la pensò G.A. Borgese ne Gli allegri poeti di Milano, di su La Stampa del 8 Marzo 1910 - Torino, giudicando il Futurismo così: "Giacché, che cos'altro ha voluto fare il Marinetti, se non la parodia della celebrità?... Simile, almeno in questo, a Victor Hugo fanciullo, che disse: 'Io voglio essere Chateaubriand'; Marinetti si propose di diventar celebre come Gabriele D'Annunzio - Scrisse tra l'altro: un opuscolo 'D'Annunzio intime', e, più tardi, un libro intiero: 'Les Dieux s'en vont D'Annunzio reste'; ove la curiosità dello scrittore, eliminando quasi tutti gli altri fattori del complicatissimo fenomeno dannunziano, si ferma sul clamore di pubblico richiamo che ha accompagnato l'opera dannunziana, nel diffondersi pel mondo. Alla grandezza, alla gloria (mi si permetta di porre?? assai, a queste supposizioni del Borgese) di quell'arte, Marinetti restava insensibile: quel che gli importava era la sua celebrità. E parve fin d'allora aver fissato una bizzarra scommessa con sé medesimo: la celebrità? Vi farò vedere come si conquista. Da quel geniale dilettante ed epicureo, che era, non istette nemmeno un istante a pensare s'egli non avesse per avventura i mezzi di conquistare la gloria. Purché si facesse del frastuono intorno al suo nome! Ed inventò il futurismo".
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