Quello, invece, è il gesto topico e trionfante di Gabriele D'Annunzio: al poeta di Pescara, che incominciò la rovina, colla lussuria, delle lettere italiane contemporanee, sia imputabile la loro distruzione totale, colla violenza frenastenica futurista; al poeta di Pescara, solleticato e punto insieme sul libretto marinettiano, sia la responsabilità di questo crudele secentismo durato una stagione, ma con fortuna inciprignita; non a me, che incomincio a gustar il mio libro quando so che può essere piaciuto da solo dieci lettori; non a me, che preferisco la miseria, libero, alla ricchezza, schiavo: è al D'Annunzio, che fa volare i proprii eroi, i Wilbur Wright ed i Blériot, sul Forse che sì, forse che no; che si abbassa a descrivere e cantare machine e tormenti di guerra, per eserciti ed armate; è a lui, che applaude il dispregio alla donna come la condizione vitale dell'eroe moderno49; a questi, che debbono rivolgersi li occhi riconoscenti le braccia tese all'amplesso, il desiderio di sempre più imitarlo. Nelle Canzoni delle Gesta d'Oltre Mare si è confusa la Battaglia di Tripoli marinettiana; sì che i due autori non si differenziano più.
Avrà conservato per ciò il D'Annunzio reste, lodato allora, oggi, la eguale efficacia di verità, l'identica sincerità? Se vi è evidente, e la si sente acidula, quella piccola punta d'invidia, che rialza il tono al periodo, pur tolto via il dubbio50 che l'antagonismo marinettiano abbia caricate le tinte al volumetto, il suo valore mi rimase immutato: e cioè: I) essendo una serie d'immagini d'annunziane riflesse da uno specchio simpatico ed affine sono quelle più esatte e più vive; II) concorrendo il Marinetti a quel vertice, su cui il D'Annunzio poggia, la foga e la passione di raggiungerlo lo faranno più audace, e, letterariamente, più spontaneo.
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