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      In fondo, romba, come il tuono, ma si liquefa presto.
      Il Pescarese ha accettato che parlassero di lui I Presepii d'Annunziani, mandatigli incontro, sino dal 1903, da Garibaldo Bucco con manifesto dileggio; ha ben veduto, che lo stesso Marinetti lo indicasse dal Verde-Azzurro, nella serie delle Nostre celebrità, col D'Annunzio intime, spunto di questo... D'Annunzio reste.
      Può dunque ammettere necessario che alcuno lo faccia conoscere a Parigi, dove la sua insopportabile infatuazione sconcerta ed irrita le sue ammiratrici più devote; è logico che alcuno dica là giù donde vengano li spunti capitali delle sue opere, a quanti si numerino i plagi evidenti, dove il Mauclair può trovare una scena della sua Couronne de clarté, dove Paul Claudel un'altra della Tête d'Or; dove Henri Bataille tutto il motivo della sua Lépreuse, senza ripetere il resto, che, a suo tempo, ma senza efficacia, il Thovez aveva già denunciato.
      È doveroso, che, colle turibolate delli ignoranti e delli interessati, anche i parigini odano le mirabili virtù di codesto uomo, che, falsando la storia delle origini italiche, ha l'impudenza di offrire a ciascuna regione italiana il poema etnico di sua razza; e vedono come la rinomea dello scrittore, per quanto possa essere solida, declina in queste deplorabili fanciullaggini, colle quali, la sua avidità di commerciante in versi e di postulante in gloria si studia di rendersi universale. Questo processo amministrativo da barbaro, che non rispetta se non il risultato pratico, di Yankee che ha adottato, non l'azione diritta e diretta, ma il bluff e tenderebbe ad imitare lord Byron, con minor grazia, con minore nobiltà, con maggiore soperchieria, ed emulerebbe i peggiori difetti di Victor Hugo, vago di sé stesso e gonfio delli incensi della clientela che lo sfrutta, è quanto ammira, sarcasticamente, da vicino il Marinetti.


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D'Annunzio al vaglio dell'Humorismo
di Gian Luigi Lucini
pagine 126

   





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