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      La novelletta è ben parafrasata, per quanto tradisca l'origine dei classici incunaboli del gazzettiere. Chi non ricorda l'episodio dell'incognito del Margravio Federigo di Prussia, li altri di Giuseppe II d'Austria? Vi è una scena nei Due Sergenti piena di patetica commozione, in cui il gesto di sull'incognito regge un intiero atto: l'istrionismo di D'Annunzio si sarà divertito, in quel dopo pranzo del giugno 1909, ad assaporare i diversi giuochi fisionomici dei volti de' frati di Montecassino. E perché questi non sono allocchi ed asini, come il suo pubblico, vi avrà letto le smorfie sdegnose della riprovazione e le altre più irritanti della commiserazione.
      8. Gesso d'annunziano in tribunaleIn quella confusione di poesia e di codici, che è la vita di D'Annunzio, noi lo vedemmo spesso comparire in persona, davanti il magistrato, o per una promessa non assolta, o per brevissimi adulterii, o per trascurabile dimenticanza nel pagare un conticino, o per difendere il nome e l'onore di un suo levriere, o per protestare contro il venditor di una cavalla a lui contagiata da tare pericolose e nascoste, o per sentirsi condannare alle solite contravvenzioni perché l'automobile pindarico correva più del bisogno sulle prosaiche strade del regno d'Italia.
      Egli compariva, o si faceva rappresentare, nel pretorio, col seguito necessario di legulei, causidici, giornalisti, ballerinette, sfaccendati, invidiosi, plebe: un'altra volta vi esposero invece la sua effigie. Sì, un gesso. Peko, inventore e fabricatore di umoristici magots in comunissimo solfato di calcio, aveva popolato le bacheche dei negozii cittadini delle sue plastiche caricature; erano li uomini celebri delle lettere delle arti e della politica, che postillavano dei loro grotteschi le passeggiate spesso monotone, dai banchetti delle vetrine prospicenti, ricordo e memento, gajezza e malinconia nostrana.


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D'Annunzio al vaglio dell'Humorismo
di Gian Luigi Lucini
pagine 126

   





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