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      Se ho avuto la folle temerità di scrivere un lungo poema per essere ammesso nel numero dei buoni spiriti italici che onorano la lingua francese, come direbbe il vecchio autore della "Concordia delle due lingue", confesso non senza arrossire che "ze suis" incapace di ben parlarla. Ma come potreste rimpiangere il mio balbettamento, poiché avete sul vostro palcoscenico fiorito due lettrici mirabili? Mi rallegro pensando che l'una e l'altra voce arricchiranno oggi alcuni ritmi dei miei sogni meno pericolosi nella nobile scuola, in cui voi eccitate le pure giovinezze alla aspirazione espressa dal più alto grido del mio poema: "O bellezza, vivere e morire per te".
      11. Di alcune utili superstizioniGabriele D'Annunzio gioca al lotto ogni settimana. L'ha confessato egli stesso a Jean Carrère che lo intervistava per incarico del Je sais tout. "Non amerei Napoli se non giocassi al lotto regolarmente. E non m'è occorso d'essere sfortunato! Un giorno - ero in viaggio - appresi senza dispiacere d'aver vinto sessantamila lire". E glielo annunziava il fido Rocco con un dispaccio che diceva: Sessantamila lire, deo gratias. Rocco. Il poeta non ha detto se poi l'importo della vincita sia stato riscosso: ha preferito parlare d'altro, sorridente e lieto per il suo attuale soggiorno francese che gli dà svaghi brevi dopo giornate, anzi nottate di lavoro. Poiché - e questo è già noto - il poeta preferisce i silenzi notturni per le estenuanti fatiche cerebrali.
      Ma non solo il Poeta si affida, da buon quasi-partenopeo, all'alea dei numeri innocentati, per cui anche il regno d'Italia fa la propria concorrenza al bestemiato Montecarlo ed alla religione cattolica, ambo larghi di promesse venture - con qualche intervallo - in questo e nell'altro mondo; ma frequenta Pizie dozzinali, magnetizzate e chiaroveggenti, strologatrici, e teme la morte, e si affida al sortilegio, ed abborre il 13.


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D'Annunzio al vaglio dell'Humorismo
di Gian Luigi Lucini
pagine 126

   





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