Egli vi si è addestrato illustrando, col suo sapiente bulino, parecchie pagine del Pascoli, di cui colse con tocco felice alcuni fra i più vivaci ed eloquenti aspetti, dandoci i deliziosi spunti pittorici della granata e della fiorita, le pensosità raccolta del dopo? di Italy, dell'orfano di casa mia, gli affaccendati quadretti dei due vicini, il mistero doloroso della cavalla storna. Parlo di Vico Viganò, il quale, quando abbia, con religione d'amore, penetrato gli spiriti dei canti leopardiani, abbia respirata l'aria di Recanati, e, a così dire, assorbita quella natura ispiratrice, avrà modo di elevare il tono dell'arte sua, di allargarne gli orizzonti all'infinito, di pervaderla tutta d'una vasta e intima significazione, che sia come l'anima dell'immoto disegno, che sia come un muto continuar del canto e ad esso ci riconduca in un trapasso spontaneo, in un ricambio fedele, in una armonica rispondenza di sensazioni e di affetti.
Ecco: con tutto il rispetto dovuto alla toga ed alla matita rispettive, non so trattenermi dal suscitarmi davanti una... visione: vedo, cioè, un maniscalco ed un suo manuale, sbracciati e sudici di fuliggine, d'unto e puzzanti di corno bruciato, con grembiuli di cuoio e manaccie callose e mal destre, chini ed intenti a maneggiare un roseo e bellissimo bambino, che si è rotto un braccino, ruzzando. E tutti e due a tirare, a piegare, a fasciare, a comprimere su quelle povere carni aristocratiche e ferite; e ad ogni gesto strida ed urla del paziente alla tortura, e ad ogni tocco di quelle mani un'orma nera e ignobile sui lini delle fascie, sull'epidermide di quel male avventurato.
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