Per costoro, piccolini e mediocri, Carlo Dossi rimane sempre colui noto all'epoca della fioritura sommarughiana, autore di qualche bizzarria eccentrica e curiosa. In cambio, codesti fogliaccioni sesquipedali, hanno lunghe articolesse sopra i garretti e la meritoria pietà cattolica e da veloce scaccino dei Dorando Petri, sopra la muscolosa trucolenza dei Raicevich, intorno ai voli per l'aria e le passeggiate sott'acqua, le visite dei Reali ai disastri siciliani, e di Fregoli al Papa, le scialuppe e li emetici curialeschi e di Assise, li elettuari fogazzariani, le cantaridi, finalmente ribassate di prezzo e di valore, d'annunziane, le acque sporche di polveri virgiliano-romaniche del Pascoli e via via: il costume non si rimutò.
Anche tutt'ora, codesta rivendita di parole stampate ad uso della borghesia fannullona ed arrivata maschererà, sotto un interessamento d'imprestito, dovuto al nome formidabile dell'editore letto sopra la copertina delle recentissime opere complete dossiane, la sua malagrazia e sopra a tutto la sua supponenza spaventata e melensa davanti alla gratuita sincerità. La paura non è a fatto tranquillizzata, non le fobie persuase, non l'ignoranza confessa: tutte queste stigmate morali si ereditano atavicamente; i figli, nuovi accademici, patiscono le stesse malattie; e, se oggi, per rispetto umano, o per millantato credito, andranno al richiamo di chi scrisse la Desinenza in A, minimamente la comprendono, nè la lessero.
Avevano i padri trovato già temerari Mantegazza ne' suoi saggi popolari scientifici, Cremona nella sua pittura, Grandi nel suo Beccaria, Torelli nella dramatica.
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