Ora, chi discese da Mallarmé? Chi discende da Carlo Dossi? Noi; un Alberto Pisani ci aveva preannunciati, uscito da un Guido Etelredi suo avatar di L'Altrieri; si continuerebbe nell'Impenitente, che, dopo La Desinenza in A, dedicherà alla Geniale La confessione piena ed intera di Amori: Carlo Dossi, iperemico di genio, ipertrofico di coltura, s'ammalava d'ideale e di belle lettere italiane. Egli era in pubertà; pubesceva con lui la città che abitava, Milano;adolesceva la Patria; era pur logico tutti patissero, senza avvisarli, passaggi inquieti d'ebefrenia; l'epoca li richiedeva. Sia per la collettività di un eletta di popolo, romanticismo, sia per l'elezione di un individuo, simbolismo, le cellule prime, o l'aggregato di cellule, rispondono a dei dolori vaghi ed innominati che li vanno martoriando senza lasciarsi attutire e vincere, perchè ne nascondono, misteriosamente, le ragioni. Sono i dolori innominati, non forti, ma insistenti, non decisi, ma continui, che vanno perseguitandoci senza localizzarsi, che formano, vagamente ma realmente, il nostro malessere, uncassines li chiama Locke i senza causa; ciò che ne accenna l'avvertenza morale di sofrire la vita.
Epoca ibrida e dolorosa; vi si aspetta qualche grande avvenimento; il giovanetto attende l'amore; l'estetica fa allora eccesso e non difetto; vi si conoscono le ipertrofie sentimentali a profitto del culto del bello; si pretende e ci si crede qualche cosa di più e di diverso di quanto siamo; interviene il bovarysmo. Giornalmente, vengono a ferirci, con temprati bisturì sapienti, la noja, l'umiliazione, il dispetto, sensazioni morali male definite e peggio conosciute, che si fondono nel tædium, non quello latino e stoico per cui Petronio elegge la morte alla vita, ma quello di Leopardi, di Hartmann, di Schopenhaurer, che, pur lamentando di vivere, non si lasciano morire.
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