Che altro doveva fare il giovane Alberto se non scrivere sè stesso, sognare:
Des casques, des rouets, des livres, des épées,
Des cierges, des bijoux, des billes, des poupées?"
E la sua Principessa di Pimpirimpara, risponde a Lohengrin fils de Parsifal, alla Salomè del Laforgue.
Per lui tutto è storia, tutto è realtà; quel poco di avvevenimenti veri, che entrano nel suo racconto, basta ad innerbare la favola; e li uni e l'altra diventano leggenda, cioè una verità personale e passionale, per cui il valore massimo sta nell'averla sentita e vissuta. E che di più? Sognando non ha creduto di vivere? E la vita reale non equivale la visione del sogno? Sopra un'altra colonna del suo Dosso, egli fece incidere, sotto un nome di donna a lui cara, ma che non conobbe se non di udita: "perchè nulla vi è di più vero del sogno".
Oggettivazionte, dunque, di sè stesso in movimento, in pensiero, in fantasia; egli vi raccoglie tutti li elementi di quanto è, e di quanto vorrebbe essere; tutte le sue donne sono la cristallizzazione poetica delle creature vive da lui conosciute in difetto, rese, per lui e secondo il suo desiderio, perfette; il bovarysmo si trasforma in fantasime indimenticabili. - Se possiede la visione esatta del fatto, vi aggiunge la ragion massima del suo desiderio, della sua speranza, del suo idealismo; donde i valori reali si tramutano e divengono i valori veri della sua estetica. Egli non sa bene che sè stesso; è del suo corpo, della sua mente, delle sue illusioni, il più acuto osservatore, il più nemico critico; saggia, a traverso la pietra di paragone dei propri nervi e della propria sensibilità, qualche volta esquisita sino alla patologia, tutto il mondo e li altri uomini.
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