La critica era un inno solo all'arte del Bertini e dei suoi seguaci, e, noi, poveretti, che osavamo protestare passavamo per pazzi, e, per poco, non per furfanti". Allora, per esporre le proprie idee, senza sottoporle ad una evidente amputazione, senza contravenire alla urbanità che imperava nelle gazzette - per - bene e gesuitiche, dove si raccomandava il luogo comune, per non irritare la pubblica melensaggine, era necessario fondare delle riviste eccezionali: Le Tre Arti. Erano uscite, con un primo numero di saggio nell'ottobre 1873 ed ultimo della serie; vi erano accorsi Primo Levi, Carlo Dossi, che parlava di Tranquillo Cremona e di Giuseppe Grandi alla esposizione di Belle Arti a Brera nell'anno 1873(50); venivano riassunte da Luigi Perelli. Il quale, fuggendo lo strazio per la morte della amatissima Elvira fidanzata, fidanzavasì, per sempre, alla amicizia, riversandosi, nella bontà verso altrui; adorando l'opera di Grandi e di Cremona, proteggeva Rovani pubblicandone La giovinezza di Giulio Cesare e la mente di Alessandro Manzoni: creandosi il re del Carnevalone Ambrosiano, promuoveva anfizionie di Maschere, verso Roma, ricongiunta, cuore d'Italia, rimesso a pulsare alacremente in petto alla Nazione; suscitava in fine, con Vespa e Borgomanero, il Rabadan, senza di cui non poteva essere settimana grassa milanese e non disinteressata piacevolezza, se, una volta l'anno, non compariva a frecciare, colla satira saporita del buon tempo, il costume e colla bosinada di circostanza a sora.
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