Martellava una inesauribile zecca di epigrammi a battuta sonante d'arguzia. Corruscavano monete d'oro e d'argento, già mai di rame, al sole artificiale e ringiovanito dai vapori dell'alcool - el so giovin de studi -; insospettati modi di dire svuotavano le viscere scoperte di ipogee miniere ricchissime di storia, d'arte, d'indiscrezioni. - La vista di una passante, di una conoscenza, di un nemico, di un amico eccitava in lui la piacevolezza alla ventura.
Diceva del Sacchi bibliotecario, che camminava col muso per aria mezzo assonnato, muovendo le labra come biascicasse castagne. "El par un baco ch'el tenta de fa la galetta, ma la ghe reussis no". Della moglie di Cletto Arrighi, che poverina, non si sgravava che di cadaverini: "Ona Mojascia ambulante". - Ad un vedovo che si era riammogliato: "indegno d'aver perduta la prima". - -Chiamava una cantante enormemente grassa, ma bella: "il naufragio dell'estetica". Espettorava la quintessenza delli insulti contro il Filippi, che fu tra i primi, critico della Perseveranza, a bandire l'opera di Wagner contro i rossiniani, dei quali Rovani era il massimo sostenitore; e fulminava Pezzini, comproprietario della Gazzetta di Milano, deforme e libidinoso, assicurandogli che "lo avrebbe migliorato con un pugno" - Ad un suo sozio attestava: "Molti migliori di te hanno salito la forca: ma tu la disonoreresti".
Se avvisava Giulio Carcano, lo sciapo traduttore di Shakespeare e lo stucchevole manzoniano, claudicante: "In tant temp che l'è a sto mond e con tanta inclinazion ch'el ga in quella gamba lì, l'è sta mai capace de diventà nan". - Ed a Paolo Ferrari, che gli confessava d'aver letto molti libri prima di comporre La Satira e Parini, rispondeva: "Ch'el guarda che l'han mal informàa". - A Cantù faceva sapere: "Aveva egli otto anni ed era già un asino"; appajandosi a Mommsen che lo tacciò di ciarlatano; - a D'Azeglio, venuto in sulle bocche di tutti coll'Ettore Fieramosca: "L'è un gener de Manzon". Se riconosceva un galantuomo a passare, criticamente osservava: "On bon galantomm el dev semper avegh un fond cattivissim": se ammirava una bellezza giovane e procace: "Speri che la vegnarà bonna per tutti"; se un acuto profumo di muschio gli pungeva le nari e scorgeva la biscia che lo emanava, una cantante ex-cocotte: "Adess la cerca in de l'arte quel che no po dag pu la natura". Eccitava i giovani a gesta erotiche, citando Orazio ed Ovidio, l'esempio turrito ed inalberato pagano che si conserva nel Museo secreto di Napoli, illustrato dalla prolifica divisa "Sator Mundi", seminatore dell'universo, proponendo loro il caso di una famosa editrice di musica, el granatiere di Slesia.
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