Perciò Carlo Dossi non vi definirà l'humorismo, ma praticandolo, ne darà a noi la sensazione e quasi il gusto dolce-amaro di morso e di bacio, incidendo sopra il suo libro più doloroso: "Un'oncia meno di sangue, un libro di più".
Comunque, è dote squisitissima, rara e permalosa, che sfugge la nostra diretta conoscenza; noi la avvisiamo, la sentiamo, non possiamo dettagliarla e catalogarla secondo una norma scientifica: in casa nostra si acclimatizza a stento e nelle più alte figure letterarie. Ama climi poveri, inospiti, aspri, desidera l'inclemenza; è un'altra forma sotto cui si manifestano i dolori innominati; in cui questi stessi tentano di riflettersi, per fotografarvisi, perchè projettati, in fine, ne sappiano la propria fisionomia. Viene dal Nord, viene dal romanticismo; precede ed accenna le ore critiche di patema sociale, di trasformazione psichica. Il serpente della Bibbia, - e Luca di Leida lo raffigura colle zampe di gatto ed unghiato, il volto antropoide, orecchiuto, il resto del corpo peloso, ravvolgendo, a spira, l'albero fatale - determina, grottescamente, l'incoscienza animale che sta per dar luogo alla coscienza umana.
Socrate, che ironeggia nei Memorabili di Senofonte, presente la voce di Thamos pilota egizio, che ridirà, a tutto il mondo pagano, la menzogna: "Il gran Pan è morto!" Se Petronio, tutto rìso e cachinno, fa portare a Trimalchio la larvetta d'argento nel triclinio, gliela fa giuocare, disarticolata, nelle mani, e sul marmo della tavola del banchetto, per cui lo scheletro assume ogni più ridicola posatura, mentre canta: "Ahi, ahi, noi miseri, che omiciattolo vile è mai l'uomo!
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