Il Daimon greco di Carlo Dossi si è tramutato nel Dimonio gotico: gli imporrà tutte le birichinerie del caso; lo doterà d'ogni e più secreto strumento, doppia vista, invisibiiità, volar per l'aria, sprofondarsi sotto terra, penetrare nelle camere chiuse e sotto le lenzuola del letto, essere ovunque: l'ubiquità lo franca d'ogni alibi e d'ogni presenza, nello stesso momento. Altro che l'Asmodeo di Le Sage, il Shallaballah della puppets-woman londinese! Egli è il Belfegor di Machiavello, il Mephisto di Göthe, è il Diavolo margravio di Von Grabbe; per di più ha in dito, a talismano, l'anello di Gige.
Scoperchia tetti seziona case, divarica cortine... e coscie, spalanca imposte, abbatte usci e tramezze; segna e segue chiunque incontra sulla via pubblica; ne pesa il cervelletto dalla cuticagna; penetra nell'occipite e s'aggira nelle circonvoluzioni cerebrali; discende pel midollo spinale; si sofferma ad analizzare il succo che ne spremono le ghiandole: divide la vita feminile in tre parti; le dice tre atti di una tragedia comica di dieci scene ciascuna, in cui dramatizzano e farseggiano personaggi esemplari; precede ogni atto un Ouverture, come una sinfonia, che riassume, leit-motiv e spunti, accenni musicali e variazioni, tutta la tematica della orchestra e del canto; Intermezzi e Finale, che si presentano, come il coro della tragedia eschilea e della comedia aristofanesca, e, se non danno il giudizio della folla, pure come il personaggio che canta e il genio muto della scena chinese, come il Gracioso di Garcilaso e di Lope de Vega, esprimono il sentimento e l'intervento dell'autore.
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