Carlo Dossi, se rifugge dal descriverci l'atto, lo suggerisce con due parole che ne uncinano l'imagine tra riga e riga di una banale presentazione; noi lo indoviniamo a canto ad ogni femina passante; di sotto alte maschere, che va rappresentando nelle attitudini le più solite, noi scopriamo l'unica positura animale, normale e personata caratteristicamente in una parola, in un aggettivo che riproduce in sulla ribalta letteraria l'altalenare commosso della foja.
E pure egli rimane freddo, come stanco e sazio: è l'artista che ha la mano sicura, ferma e traccia dal nudo vero la figura del modello lascivamente adagiato, con un tratto solo, dalla testa ai piedi e non si eccita: si ricorda, disegnando lucidamente, di tutta la nomenclatura topica ed anatomica, pronuncia delle frasi che palpeggiano ancora come mani sui fianchi tumidi, altre che graffiano e mordono di voluttà, ed or son tristi come ogni maschio dopo l'abbraccio; altre ancora che riflettono il delirio suppliziatore di cui persiste la torsione estasiata, il flagello della crudeltà, perchè Hilarion proclama: "La lussuria ne' suoi furori, come la penitenza, è sempre gratuitamente disinteressata: l'amor frenetico del corpo accelera la distruzione e proclama, colla sua stessa impotente debolezza, l'amplitudine dell'impossibile". Verdetto assolutamente futurista se un'altra volta Marinetti ne dà le ultime conseguenze in un Mafarka africano e barbaro, disceso in modo insospettabile, - per quanto li altri non lo vogliano comprendere - dalla Bibbia e dalla Desinenza in A.
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