e Lesbia, usata a glubere i nepotiflosci di Remo sotto gli angiporti,
getta il tuo libro e colla lingua infameurpe lo dice.
Ecco i nemici".
Per intanto, La Desinenza in A aveva ingaggiata la pugna a mezza lama, sotto; aveva preceduto il rosario delle pubblicazioni sommarughiane, che da Roma, riburattate dal fresco ventilabro della unità italiana, spargevano sementa gagliarda e spregiudicata, protette da i nomi grandi di Boccaccio e di Machiavello. Il breve libro denso, schiaffeggiatore, apriva la carica, come un foriero galloppante sopra il miglior cavallo dello squadrone, a Gli Amori bestiali del Valera, a Terra Vergine del D'Annunzio, a la fioritura bolognese della Postuma, della Nuova Polemica; aveva snocciolato non poche avemarie, già nel 1878 prima che in patria si incominciasse ad allungare le orecchie dalla parte di Francia, ascoltando quanto volessero dire di nuovo Zola ed i suoi amici, - "Com'è, La Desinenza in A - libro non certo per monacanda - rappresenta la giovinezza dell'autore, gli errori della poca sua carne, il suo squillo di bicchiere nell'orgia. Ma la giovinezza gli è oggi completamente sfiorita. La penna che segnò quei ritratti donneschi è rotta per sempre. Bene sta. Ogni stagione il suo frutto. Fanciullo, scrissi d'infanzia e vi offersi L'Altrieri; adolescente, di adolescenza e vi diedi, L'Alberto Pisani; giovine, di gioventù ed eccovi La Desinenza in A. Se la vecchiaja non mi sarà, come sembra, contesa, scriverò cose da vecchio - metafisici soliloqui, archeologiche dissertazioni; chissà mai! anche ascetica.
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