e le rinnova quel dolor fecondo.
Stanca son io dell'amor che leggeavara mi misura: amor che ha tiara
ha plico e diadema e sotto è calvo
Vecchi rabbiosi d'impotenti voglie,
mi circuendo, a fedeltà costretta,
e il talamo che olezza ancor di te;
il tuo - mi dicon - nome è annientamento.
Dunque t'affretta! Quanto intorno veggoinvoca scure, rogo e oblio profondo.
Tutt'ardo ed amo. Colle gruccie loroseguon, que' vecchi, di briache
linee la terra urlando: "oltre non amerai!"
Sentomi adulta e di me stessa donna.
Vieni, o possente, e colla man tua rudelacera i veli che mi offuscon gli occhi,
strappa i monili che mi son catene,
sciogli la veste che mi impaccia il piede,
e mi ritorna al sol libera e nuda."
Questi endecasillabi si volevano stampati anche da Alberto Pisani, segretario alle sabaude diplomazie della Consulta, come tradotti da Carlo Dossi, se pur lo vennero, perchè ritrovai solamente le bozze ma non il foglio che li avrebbe dovuto recare, ed oggi, in tempo migliore glieli rivendico a grande titolo di gloria. Senonchè, allora apertamente, in sospeso, si tenne in bilancia col Regno dei Cieli. Che, se in questo evidentemente veniva all'individualismo libertario e rispecchiava le Nuove Nozze, lo aveva però vestito di beneficenza e di carità, dandogli la rossa zimarra talare del Cristo. Ma la sua profonda dottrina, il suo scetticismo caustico, dubitarono ancora: riposero sotto a sopannare la camicia del Rabbi, la palandrana lunga, la zimarra decorata del conservatorismo, quasi volesse entrare, e nei palazzi e nei templi, coll'uniforme d'obbligo, volendo sorprendere per insidia le posizioni che desiderava occupare.
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