Quindi inalza la sua creazione; la dipinge, la scolpisce, le dà respiro, la circonda di fiori, di puzze, di gioielli e di detriti. Egli vuole una solida casa di immarcescibile materia, ben piombata nel suolo e tanto alta da salir alla luna, verso cui lunaticamente sermoneggia e schernisce. Tutti i materiali gli servono per ornarla; come al pittore di genio tutte le materie colorate, non distinguendone i generi, confondendo pastello, vernici, acquarello, tempera, guazzo, alluminatura, disegno con matite d'ogni tono e durezza, pur di compiere il capolavoro, che è fuori d'ogni scuola e d'ogni regola; perchè la bellezza naturale non sottopone sè alla regola, ma la incomincia e la detta.
Poi, diffida ancora del lettore per quanto sapiente ed esperto: gli mette in sulla bocca i suoi accenti, come li appostilla sopra le parole stampate. Vuole ch'egli pronunci in questo modo e con questo ritmo; gli insegna a scandere la sua prosa in questo suono, con questa pastosità, con questo calore, fermandosi sulle apostrofi, sulle elisioni, sui tronchi, determinando specificatamente, da questo complesso di vicinanze e di visione tipografica, la suggestione che ne riesce, guidandola, come egli desidera, per il completo attuarsi del suo magistero. Ci chiama a fabricare con lui il suo e nostro palazzo, ma cum medicamine, desiderando di essere il solo architetto, responsabile ed ubbidito: il lettore non può divagare, aggiungere o togliere ciò ch'egli non voglia; nulla è lasciato all'arbitrio suo, al suo troppo presumere: l'autore non abdica al droit de maîtrise; e la facoltà che egli ha consentito di indovinare e di completare è diretta dall'altra volontà, che, a distanza, la comanda pena il perdersi dentro la boscaglia impervia, ciottolosa ed inspinata di quei periodi, alli orecchi domesticati dalla melopea, striduli e disarmonici, ma, alli altri, che percepiscono l'armonia morale e l'omotopea, sonori ed euritmici di una profonda pienezza wagneriana.
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