- Dei tre generi è riuscito passabilmente nei due primi. Egli del resto, vorrebbe dedicarsi al solo primo, il quale è a pari distanza dalle due esagerazioni della odierna letteratura (1880). Ma nel terzo non è riuscito, un po' per le sue inerenti difficoltà, un po' per la lingua e l'indole italiana che male si presta, in un cielo così azzurro, alle nebbiosità". Chè, s'egli non è della opinione di Giuseppe Ferrari, il quale esagerò G. B. Vico, nel presumere la lingua italiana reazionaria, cercando di scriverla con genio e capriccio originale; vi incontrava però la scarsità dei tempi e de' modi verbali, invocando la greca abbondanza luminosa, colorita e sonante a cui appetiva, sforzando il carattere chiuso della nostra. "Dossi(172) aveva tentato non di far sentire le parole, ma i suoni; di avvicinarsi, cioè, più che fosse possibile alla musica, come già aveva tentato di rendere la letteratura una pittura" impresa ripropostasi da' simbolisti italiani ultimi venuti sotto il nome di Futuristi; i quali osarono il processo dossiano ad oltranza, e, sforzando la rude e ferrigna materia del vocabolario nostro, lo fanno vivere come armonia, lo avvampano di luci colorate come una cinematografia erotta sulla notazione della realtà, alla rappresentazione imaginata e leggendaria della più sicura verità sostanziale ed umana.
Per tal modo, il fare dossiano raggiunge il vertice della nostra eloquenza, oltre la quale, di una linea, si gonfiano la caricatura ed il grottesco letterario, un'altra e peggiore retorica d'impotenza e d'imprudenza menzognera.
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Giuseppe Ferrari Vico Futuristi
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