Se non che Carlo Dossi rimarrà sempre un caso difficile di cui daranno la soluzione rari spiriti di eccellenza; i quali non professeranno la critica ma sentiranno, per affinità di indole e di carattere, un'arte di astruse intensità. Lo prova la stessa Critica(173) di Benedetto Croce, il geniale senatore novello e principe, a detta di tutti, in quella professione. Ed egli dimostra di aver compreso non troppo dell'opera dossiana se ributta Colonia Felice. Ritratti umani, Desinenza in A, Amori, tra le scorie della sua produzione. Così, essendo egli, come meridionale, un emotivo, afferrato dalla Vita di Alberto Pisani, di L'Altrieri, di Goccie d'inchiostro; e, come riflesivo di metafisiche tedesche, cercando un sistema in arte, non avvide il bell'esempio di un artista che sa dare, con'eguale intensità nel male e nel bene. Anatomico specialista il Croce, - cioè critico e non costruttore - può conoscere esattamente la topografia dei visceri esenziali, ma difettoso biologo non sa l'ufficio e le relazioni di questi nei processi differenziali della vita particolare d'ogni individuo. Dunque, sapientissimo di nomenclature - di sistemi - è improprio a rilevare le funzioni, cioè le attitudini, le attività, i gesti, la sequenza del moto e del divenire; ond'io diffido di quelli che sanno troppo di una cosa sola, e Benedetto Croce è con loro. In fondo, borghese, per quanto imbevuto di socialismo hegeliano si sente scandolezzato alle pitture della giusta malignità dossiana; gli sembra d'aver davanti qualche cosa di furioso e di perverso; rimasto alle categorie, isola li apparati in una necrofilia di dilettante, non li considera nell'organismo in totalità; giudica quindi ab inferiori, di sotto in su, errando nel caso generale, doppiamente nel caso specifico; poichè non devesi mai definire su una estetica, ma semplicemente sentirla.
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