Le erme, i simulacri delle divinità, il bel palazzo dei sogni, le imagini fluttuanti nei veli e nei riflessi delle lastre equoree, i ridotti silenziosi, le cortesie delle mani inanellate nelle mani maschili, le voci di benedizione e d'amore i baci casti le foghe degli abbracci vermigli, dove, dove realmente? Il parco era anch'esso un fulgido apparire ed una fresca oasi di pensiero, nella quale l'artefice credeva di essere di fatto; ma alla quale la necessità della vita aveva sostituito l'orto fruttifero e suburbano, grasso di vegetali ignobili, ma necessari, largo di foglie di cavoli e di rape, con cura e selezione sapiente, educate. E ciò piú che stupiva ed addolorava ad un tempo era questo: che a pochissimi guardinghi, avari ed invidiosi era dato di passeggiar per gli angusti vialetti contenuti dai cardi pungenti; che nessuno di costoro, se per avventura avesse trovato un fiore, si sarebbe inchinato ad odorarlo; che tutti tendevano le mani e gli sguardi cupidi, osservandosi ed assicurandosi a vicenda delle azioni del compagno, verso un albero frondoso, che lasciava brillare, nell'intenso scarlatto, un pomo d'aspetto insolito, al sole.
Cosí aguzzini l'uno dell'altro non s'accorgevano, che intorno all'orto ignobile una folla macilenta di pitocchi s'avvicinava, gettando grida.
Tale il parco ideale tramutato in ortaglia dagli uomini positivi; cosí mi apparve pure l'opera di nebbia una squisitissima concezione egoista; e dei comuni nessuno la seppe, e, se tra gli intellettuali molti ammirarono, non ne conobbero il fondamento e lo scopo, intenti com'erano ad assistere al circuirsi lento e fatale dell'orto proficuo.
| |
|