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      Il romanzo non è altro che il dramma sviluppato oltre le proporzioni del teatro, sia per magistero di pensiero, sia per orgasmo di cuore».
      Il Bianchi, che volle un romanzo per la propaganda e che si distese oltre modo alle concioni dei meetings, ai ragionamenti d'economia politica, alle conclusioni a favore del socialismo militante ed alle tattiche, ora, opportuniste parlamentari fece, antieteticamente, una doppia confusione: l'arte, di cui volle dirsi ed appare qua e là cultore, non ne può che soffrire. Cosí il protagonista, dottor d'Este, presentatoci sulle prime, come un esteta a perorare intorno al Wagner ed a difendere, nello stesso tempo, la tradizione della vecchia musica italiana; che si rivela, poi, socialista convinto, con larghezza di idee e di propositi, agitatore e tribuno di contadini debitamente scioperanti, buon parlatore nelle innocenti dimostrazioni rusticane; che ci appare, come egli stesso nota monologando, in istati d'animo contradditorii, che è scettico e disincantato; che è passabilmente ambizioso e che segna nel suo altruismo una gloria egoistica; nervoso, alle volte impaziente, soggiogando alla logica le mobilità del sentire; è misero equivoco e dubitoso davanti all'amore che sente e che suscita in Gisella.
      Né questa ambiguità, risultato di lotte interne e morali, ci è spiegata; è qui tutto ora il romanzo, se il Bianchi lo avesse voluto; perché tutto qui era il dramma. Quindi, quale è la sua azione definitiva e concludente, riguardo all'opera socialista?


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Scritti critici
di Gian Luigi Lucini
pagine 354

   





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