Ho la sfortuna, per li autori moderni, d'aver letto assai; quindi de' diversi episodii dei Venti ed un giorni posso segnare la derivazione. Trovo del Jean Lorrain; del Richepin (Mortes bizarres); della Rachilde nel sadismo di alcune pagine; della Terre in alcuni caratteri di contadini; del Balzac e del Loti nelle descrizioni della Bretagna e dei Bretoni; del Renard (Histoire naturelle-Géorgiques) nel miglior passo del volume, l'istoria di un istrice, che muore di intossicazione alcoolica; in fine del Mirbeau (Journal d'une femme de chambre) copia allo stesso Mirbeau.
L'opera d'arte fuggita, cerchiamo l'opera buona e sociale. Amo distinguere e fare una insinuazione. Perché si ha raggiunto il diciasettesimo migliaio? Perché la borghesia, contro alla quale il volume sferrò le ingiurie e le condanne, si è divertita alla requisitoria e lo ha preso sotto la sua protezione: dalla lettura e dalla compera del libro ha estratto l'antidoto ed ha prevenuto al danno che le si voleva portare.
L'alta cifra e la cassetta ripiena mi fanno pensare, non alla sua efficacia morale ma alla sua comodità voluttuaria.
Utile dunque?
No. La parte sana della nazione non ha bisogno di questo carnajo, di questo dispensario celtico, di questo manicomio, di questa galera spalancati sulle piazze pubbliche per sopperire al morbo ed al delitto e per frenarlo: dà opera per se stessa alla depurazione. Chi è affetto di questi mali cerca di passarne immune, leggendo se stesso, irridendosi e crollando le spalle: non cerca di guarire e la loro immagine non gli ripugna.
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