Di contro a questi genii e genietti del maleficio collettivo, un giornalista, Albefrene (leggete Drumont); un soldato, Rouvre, pallida copia di Boulanger dal cavallo nero, il rappresentante della tradizione militare (ponete al posto di Rouvre un nome di qualunque ufficiale superiore anti-dreyfusardo); ed un prete, l'abate Typhaine, il quale può essere un qualsiasi astuto gesuita, allevato sotto le grazie del secondo impero da Suor Partecipatis e dal Rodin del Süe.
Costoro rappresentano la buona causa.
È inutile dirvi che l'autore, seguendo i voti del suo cuore, è un ottimista e fa giungere a buon fine ed a trionfo i ben pensanti. «Fra tanto, un comitato di patrioti decise che la città venga purificata... e, tra le acclamazioni la croce vendicante rientrò in Parigi».
Povero racconto, favola e farsa, né meno lo stile lo innerba e gli dà grazie.
Piatto e furbo, ma disgraziato.
S'io voglio leggere qualche cosa del genere, mi volgerò piú tosto alla Gyp, la quale mi fa ridere, od al veggente ed eccessivo Bloy; s'io vorrò detergermi il cervello di questi fumi cimmerii, riprenderò Zola, La Verité en marche; Tailhade, France, s'io vorrò compassionare, questo Paese di Parlamentatori (Sblatteratori).
Léon Daudet rende un cattivo servizio al proprio paese, che non è come lo dimostra, e, calunniando la repubblica, raccatta da terra il cencio bianco e ricamato a fior d'alisi, sporco tra il rigagnolo del Parco dei Cervi di Borbonica memoria. Accoppia al cencio sporco due altri colori stinti e fuggiaschi a Sedan ed a Metz e già prima insanguinati dal 2 dicembre; quindi li squassa in processione.
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