Suoni l'ode alla calce e al rettifilo!
Piangan pure i poeti.
(Case nuove, 1866)
Come ci vengono da lontano questi versi! Sanno di acre mestizia; tutto il lievito spremuto dall'Heine e dal nihilismo di Schopenhauer li trascorre. Nel momento epico del risorgimento nostro (1859-1870) sembrava che le intelligenze superiori e poetiche presagissero la stanchezza della razza, la quiescenza alla servitú avvenire, le inutili ribellioni al fatto che popolava l'Italia liberale e liberata di burocrazia savoina, scialaquando la patria ed il pubblico erario.
Erano allora le giornate, di cui la cronaca torbida commentava qualche anno fa la voce paterna, indignata e fremente; poi che in casa fu sempre culto repubblicano. Quando, tra il volo eroico delle vittorie garibaldine, sussurravasi di amori venali del principe a turbare la calma del parco brianteo: quando, le azzurre e bianche Guide ed i verdi Usseri di Piacenza caracollavano tra la folla, caricando, in cospetto ai marmi della Catedrale, ed ascendevano, braveggiando, la scalea; quando Regia e Lobbia ed i fatti dei Guardacaccia di Tombolo e di Stupinigi irritavano la coscienza popolare; quando, i migliori di parte nostra conoscevano la Santa Margherita del Torresani, non d'altro rei, che di franche parole e di libero pensiero.
La rossa scapigliatura letteraria, tra disincantata e veemente, vissuta colle fiammanti camicie volontarie, o tormentata dal pesante nirvana del perché?, tramontava nel cimmerio mare delle nebbie germaniche, per la diuturna critica sopra se stessa, per la malattia del dolore del Mondo (Weltschmerz).
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