Chuquet ha ingegno critico e profondo; ama i fatti per se stessi; odia l'inutile verbositā; possiede d'istinto la scienza e l'arte necessarie a spremere dai documenti tutto quanto ci vogliono nascondere. Svuota ed esaurisce il soggetto: di ragionamenti serrati e nutriti, espone molti fatti e racconta molti uomini. Riassume tutte le ricerche, da quelle dello Strvienski alle altre di Cordier; vi aggiunge i risultati importanti de' suoi studi e rende pubblici, per la prima volta, alcuni scritti e lettere d'indole politica e contradditorii del Beyle funzionario napoleonico e sollecitatore di cariche presso il Luigi XVIII, da lui quasi personalmente odiato, come tutto quello che puzzava di leggittimismo e di regalitā.
Ma Chuquet č dell'Istituto; quindi non comprende a fondo la ribellione sistematica e sincera di Stendhal scrittore contro il classicismo e contro al pathos deliquescente del romanticismo; lui, tra i primi romantici; e, mentre vuole sfuggire all'inganno del mistificatore, non ne comprende l'ironia, quasi che l'essere giuoco della soperchieria del Beyle sia una diminuzione del suo orgoglio di professore. Onde non accorge che i piccoli cantucci di un grande ingegno e similmente si fuorvia.
Chuquet non ama Stendhal; questo č il massimo suo torto; se lo amasse lo comprenderebbe meglio come uomo e come scrittore: dā poca importanza al lievito da lui lasciato per l'avvenire; non di meno commette l'evidente antitesi di parlarne nel 1902, testificando cosí della vivace viridezza della sua memoria e della sua costante azione suggestiva tra noi altissimi.
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