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      [In «L'Italia del Popolo», a. XI, n. 485, 1-2-3 maggio 1902 e a. XI, n. 486, 3-4 maggio 1902.]UGO OJETTI E LE SUE
      «VIE DEL PECCATO»
      Quattr'anni sono, dopo una lunga conversazione epistolare, nella quale, giovanilmente baldanzosi, a proposito di alcuni miei versi allora pubblicati, davamo fondo a tutta la letteratura moderna, critici improvvisati ed interessati, proclamando l'eccellenza dell'ultima formola artistica da noi professata a Roma, ebbi la ventura di conoscere di persona Ugo Ojetti.
      Grato e simpatico ricordo: ora risuscito col pensiero le nostre peripatetiche per l'Urbe, i colloquii e le improvvise effusioni davanti ai monumenti ed all'estetica viva e mutevole delle vie frequenti e gaie sotto il buon sole invernale del Lazio.
      Cosí, di quel tempo, avendo porto all'Ojetti un mio manoscritto perché me ne dicesse alcun che, d'un tratto, meravigliandomi impreparato, quello mi venne reso con un cenno di lieve critica anfigorica: «Vi rimando il manoscritto. L'ho letto quasi tutto stanotte. Ora sarebbe impossibile. In ogni modo a me sembra fantasticamente anzi elefantasticamente originale, ma nordicamente confuso. Non si vede dove tendiate, né quel che intendiate».
      Donde venni a comprendere che, Ugo Ojetti lasciato da parte le quisquilie eleganti e le raffinatezze eccessive del pensiero e della forma, svoltava il sentiero dell'arte orgogliosa ma incompresa per far suo cammino, con ingegno vivo ed attitudine pronta, sulle strade battute e piane del compiacente arrivare, scrivendo al pubblico facile e grosso.


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Scritti critici
di Gian Luigi Lucini
pagine 354

   





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