La spugna, questa volta, conglomera i resti tagliuzzati della nazional prosodia.
Da Enzo e Manfredi, da Ciullo dal Camo, all'ultimo Lucio d'Ambra, la spugna, non mai risciacquata per la doverosa antisepsi, spremuta ora, lascia colare una specie di sanie indefinibile, difficilmente analizzabile. Vi dirò che quest'umore, raccolto nelle bacinelle operative, si occhiuleggia di moerri verdi a mo' di una coda di pavone, o fervido schiumeggia di una leggiera bava violacea ed argentina, indizio di un certo idealismo romantico fermentato. La spugna gorgheggia.
Mistero della materia! Un vecchio colascione le presta la sua voce roca e scordata. Sono degli sciolti: delle canzoni petrarchesche: delle quartine d'annunziane: dei sonetti d'andatura classica, per quanto bolsa: ed anche, oh meraviglia! dei tentativi di verso libero. Ma questo, perché è libero a punto e ribelle ed è logico ed è fatto per dire, non per ripetere è il piú disgraziato e male vi accompagna coi colleghi.
Vi sono delle bionde e delle brune; degli amori ed assai descrizioni; dei baci e delle corbellerie. Vi è tutto un secolo di lirica, per queste poche 217 pagine, compreso l'indice; donde alcune volte sareste ingannati ad applaudire, se non pensaste alla carta bibula ed alla spugna. In compenso non vi trovate errori di grammatica e di sintassi, non mende di versificazione, ma una qualche eleganza ed una certa grazia. Il merito sta in ciò: la spugna fu strofinaccio al banco di un salsamentario di prima classe, donde i detriti non mentono il valore della merce perfetta da cui si disgregarono una volta.
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