Per lui la vita non è un gesto volontario, è una riverente assoggettazione; non è come la si fa, ma come la si trova. Dubitoso e piú che d'altri di se stesso, non ha saputo uscire dal dilemma e dall'enigma, cui voleva e non poteva sforzare a vittoria, che colla morte.
Fu per il dolore, «da un palpito sconsolato, da una aspirazione contrita». Per l'amore ha dolorato; ripete, alla fine del secolo XIX, il romanticismo del visconte di La Fontaine, Amore e Morte, e perché mite ed umile e superbo ad un tempo, non volle imprecare, combattere, ribellarsi, ma piegare e rifugiarsi nella pace eterna.
Ma quando dai suoi casi si riporta al suo paese, alla sua famiglia, al suo tempo, interrompe l'elegia, e, sul flauto silvestre e bene accordato intona la bucolica. «Offerse l'animo vergine alli allettamenti della natura». È per li esseri e le cose della terra natale; ascende alle origini e alli avi; canta le commemorazioni; lenisce, con larve di pace, l'inquieto agognare della sua imaginazione.
Colle prose e col verso è il poeta di Romagna; l'acque, i colli, le colline, i vigneti, i villaggi, i boschi, il cielo cangiante, il vento, le nuvole, il sole miracoloso, riassorbe: l'anima e le memorie dei trapassati e la divinazione.
Giacinto Ricci-Signorini, poeta oscuro professore liceale a Cesena, passò con austere onoranze, conosciuto dai pochi intimi, dal maestro Carducci, dall'amico Pascoli. Passò e l'obblío dal 1893 a quest'oggi fu denso ed irriverente. Postumo fratello, preso dal suo male e dalla sua nostalgia, chi ha scritto Le Ballate d'Amore e di Dolore, il Donati, lo riconduce alla vita.
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