Pereat! è parola che, nella morale teologia, equivale al Non possumus! della politica chiesastica ed intransigente. Pereat! non chi dà lo scandalo del peccato passionale e transitorio, del peccato in genere, sottoposto alla sanzione ebraica del decalogo, ma chi fa aperta ribellione cosciente, ragionata ed umana alla assurdità dei dogmi del Concilio tridentino. Questa volta il Péladan, eresiarca, condanna il Pereat! della Corte romana ed è col Cristo puro contro la legislazione canonica, codice dell'imperio sull'animo del gran prete del Vaticano, procedura simoniaca della Gran Congregazione, che accoglie, approva o rigetta secondo la borsa pesi, o sia floscia, o turgida d'oro.
Pereat!(26) ci deve interessare perché, in tema di divorzio, è di attualità: può essere, comunque, di attualità quest'ultimo romanzo in Italia, finché il logico rimedio dirimente delle unioni irriconciliate sarà attuato in processo di tempo; il clericalismo osteggiando, la bigotteria spaventando, l'ipocrisia indignando, il facile adulterio indispettendo per le conseguenze civili, cui la nuova legge potrebbe obbligare alli allegri usufruttuarii di un letto extra conjugale ed assai comodo.
Péladan si pone un duplice quesito d'ordine morale: si può, secondo il Vangelo, far divorzio? La parola del Cristo non è dubia. Egli ammette il divorzio per adulterio, sempre; la Chiesa in ogni caso lo deve proclamare. La Chiesa bara sulla parola del Cristo, quando si oppone e ciaramella casuisticamente nel concilio di Trento; quando va a scoprire i punti e li articoli dirimenti del matrimonio: la Chiesa si piega tuttavia alla domanda delli interessati, quando paghino e la parola del Cristo le è fonte di ricchezza.
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