Fummo, cosí, gli amanti della sofferenza; e siamo gli entusiasti dell'opera, perché il pianto non oltre gema o singhiozzi.
[In «L'Italia del Popolo», a. XI, n. 643, 9-10 ottobre 1902.]LA DECADENZA DI UN LETTERATO
(Alfredo Oriani)
Una volta si faceva chiamare Ottone di Banzole: sei lustri furono che diede fuori Le Memorie inutili, a ventun'anni; dove, con fresca baldanza giovanile, non aveva ossequio per la critica alta e bassa e scriveva secondo il suo temperamento, i suoi entusiasmi, le sue preferenze.
Innerbò la floscia dicitura italiana, che allora si andava leziosando nel pathos di un isterismo maschile, colla truculenza guerrazziana, che prediligeva, con una pompa di erudizione, cui sfoggiava, con una nobile alterezza simpatica. Spesso vagheggiava repubblica di Mazzini e libertà vera e grande italiana; né sarebbe stato romagnolo, se, almeno in gioventú, non si fosse piegato alla nostra dottrina.
A lui sorrise, nelle lettere, fortuna; fu accolto e rispettato. Incominciò a foggiare delle imagini personali ed inedite; a farsi una sintassi propria; a dimostrare un carattere speciale stilisticamente: ed in quelli anni di transazione, col Carducci e coi classici della Rinascenza, insegnò qualche cosa al d'Annunzio, il quale per sé elaborava una integrazione di forma, mentre ideologicamente, portò, nel romanzo moderno, alcuni motivi di rappresentazione e di discussione fino allora lasciati da parte.
I vecchi areopagiti si ricorderanno dello scandalo suscitato dal No, dal Nemico, dal Al di là, scandalo pimentato dalla curiosità afrodisiaca dei racconti.
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