Ma qualche stella, annubilata dal capriccio della nebbia, le può rispondere, classicamente celiando: Me lucente, silebit. Che, se non rampogna per cortesia, si schiva per non mettersi in giostre e sorride, silenziosamente.
[In «L'Italia del Popolo», a. XI, n. 686, 20-21 novembre 1902.]PIERRE LOUYS
Conoscete? L'autore dell'Aphrodite, che vi sarà passata tra le mani nella edizione Guillaume, nella quale i nudi perfetti del pittore Calbet rivaleggiano colle descrizioni libere e suggestive del testo: l'Aphrodite condannata dai facili blatteratori di moralità in faccia al mondo, ma sfogliata, riletta, gustata e commentata, nelle sere annoiate ed oziose, dei nostri areopagiti in pensione, ultima cantaride letteraria ai nervi inerti e vecchi, ultima prurigine della senilità.
Nel Livre des Masques di Remy de Gourmont, la matita sommaria e sintetica del Valloton vi disegna il ritratto: occhi profondi e lineati classicamente; bocca tumida; fronte ampia: bel profilo di naso greco; capelli lunghi a simigliare una cesarie imperiale. Sulla maschera che ricorda un cammeo, la modernità si rivela dai baffi franchi spiumacciati all'in sú a scoprire le labbra. Il suo aspetto è l'arte sua; guardatevi dai baffi franchi.
Pierre Louys deliba squisitamente come un ape cercatore per l'antichità. Vi traduce d'Aristofane i cori della Pace (Eirene), una commedia di attualità, per allora, e recitata in Atene nella tregua di Nicias, durante la calma dell'armeggiare per la guerra del Peloponneso, lungamente durata tredici anni di rovine e di miserie.
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