Morte tra le frange ed i fiori.
Goya cosí aveva dipinto. Ed alla pagina pittorica, graziosa e cupa insieme dell'humorista del pennello, risponde il Louys. Egli conosce la sua Spagna per esperienza, non la rinnova dal Mérimée o dal Gautier; la sua è assai piú calda e viva di quella scialba e lunare del De Amicis. E per il carnevale di Siviglia, e per le notti di jota e di fandango, ballati nelle salette particolari della posada, e tra i bicchieri capziosi del vino delle Baleari, le buccie fresche delli aranci d'oro, passeggia una sigaraia dubia, qualche cosa di migliore e di peggiore di una cortigiana, forse una vergine Conchita a turbare, a stregare, a render pazzo.
Oh il Don Matteo, marionetta, nelle mani sapienti ed ingenue di innata malizia della strega d'amore! La passione lunga, tormentosa, esasperata, non ributtata, con un rifiuto deciso, ma avvelenata dal riguardo che le si impone! Riguardo falso, riguardo di crudeltà; perché, per la sigaraia, che vi ha di nuovo nell'amore? Le piccole mani rosee della sivigliana si imporporano di un sangue ideale, del sangue dell'anima, baloccando l'uomo; l'uomo cadrà nella voragine aperta, mascherata dalle mantiglie aragonesi.
Qui serve la perversità morale; il gioco acuto ed eterno dell'agonia del topolino nelle grinfie del gatto malizioso e voluttuoso; serve quindi, tra la descrizione calda, profumata della Spagna, la psicologia, paziente a ricercare il fremito doloroso, crudele a mostrare la scoperta dell'angoscia.
Pierre Louys lascia l'epica dell'Aphrodite; non impone casi difficili da vincersi coll'astuzia o colla forza, come quando Chrysis chiedeva, guiderdone d'amore, allo statuario di Alessandria, lo specchio di Rodope, il pettine a diadema della Regina, la collana che circondava il sacro collo del simulacro d'Astarte.
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