Vi dice mangiando: «Io sono certo di non essere ingannato: mangio un fiore che già si fa polpa di frutto; lo mangio nel suo divenire, quando non ancora si è fatto l'abitudine e la posa di essere un frutto saporito ed è tutto intento a creare se stesso». Or dunque, i raffinati, che preferiscono lo schizzo od il segno geniale di matita al quadro, sono i piú fortunati nella loro scelta e nel loro appetito e succhiano dalla immaturanza cinetica, anima e vita profonda ed ardente; ed è il caso di Umberto Saffiotti, uno sconosciuto.
Ma sediamoci al banchetto del bianco mangiare, vegetariani, tagliamo a metà la prima mela ed osserviamoci dentro, tra i semi bruni un verme. O, meglio, lasciando da parte la imagine e la similitudine, sfogliamo le Poesie di Giuseppe Chiarini una nuova edizione completa, che ha stampato lo Zanichelli.
Chiarini le manda a Giosuè Carducci con una lettera iniziale: il verme della mela. Il vecchio turba-feste di casa Chiarini vi si presenta, D'Annunzio. È contro di lui che si sferrano le freccie piú avvelenate e piú acute; e lui che viene accusato dopo la solita burla d'immoralità di non aver rispettato Garibaldi collo splendore della sua parola avanti la profusa sopra a cose indegne; è in questa lettera che il poeta impiegato al ministero della P. I. detta la sua professione di fede poetica e definisce poesia: un effetto di metro, di accenti e di rime. Carducci, forse, avrà sorriso.
E però seguono le strofe. Voi vi fermate alla Germania, all'Atta Troll, ad altre liriche: ecco un vero poeta, pensate; ottimamente, se non che sapete che sono compite traduzioni dal tedesco di Heine ed il vostro entusiasmo si congela.
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