O pure, alle Lagrimae piangete coll'autore sopra di un suo lutto doloroso. La partecipazione vostra al pianto sgorga simpatica e convinta, vibrate, col padre angosciato, coll'animo straziata; comprendete, risentite.
La frase è fatta nostra; la commozione dalla pagina stampata ed a pena accennata è discesa in voi, lirica. Ma, dopo questo momento di intensa comunione, di grand'arte profusa, che v'è? Una floscia versione dell'Alastor dello Shelley, una ginnasiale contraffazione italiana di Orazio, la sciatteria pedestre e volgare di Storie, fatti di cronaca colascionati sul fare del Coppée, ora decaduto ed ex parnassiano, in communella coi soldati e i gesuiti della «Libre parole», funesta di menzogne.
Le poesie del Chiarini mi appajono troppo presto maturate e troppo tardi raccolte. Il lucido critico ed estimatore di un tempo seggetta tra i protocolli ministeriali: sopra al vivo spirito oggettivo si innestarono la pedanteria del burocrata ed il livore di un monaco della Congregazione dell'Indice; l'uomo erompe qualche volta e coll'uomo il poeta, ma per poco e per cosí poco.
Il Tumiati invece è per l'occasione e l'afferra. Nei suoi Poemi lirici (Zanichelli) è un dotto di poesia, è un delicato e fluido compositore di strofe. Non esce dallo stampo classico; le ottave del Giardino delle Esperidi:
I bianchi gigli come aperte manipendono esausti dall'aereo fuoco;
ardono bianchi seni sovraumani,
nelli odorosi calici di croco;
i sonetti e le terzine di Sibilla delfica hanno un ampio e luminoso aspetto decorativo di affreschi botticelliani ringiovaniti dalla lucida pennellata di Puvis-de-Chavannes.
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