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      MALDICENZE DI MELIBEOSU NICCOLÒ TOMMASEO MALDICENTE
      Per qualche opportunità morale, sulle cinquantasette mila lettere, che formano la corrispondenza di Tommaseo cogli amici e colle conoscenze, regalata e deposta alla biblioteca nazionale di Firenze dalla sua figlia monaca, grava un veto cui il Principe Corsini può a suo piacere levare, ma con molta parsimonia, a favore dello studioso il quale voglia interessarsene. Di fatto, se le lettere conservate negli scaffali, sotto il pubblico suggello, assomigliano, in parte, alle altre che Ettore Verga pubblicò testé coi tipi del Cogliati a Milano, di molto, la fama dell'illustre filologo cattolico-repubblicano può scapitare, ed è meglio per lui e pei suoi ammiratori che rimangano sconosciute.
      Questa è la sincera impressione che provo leggendo Il primo esilio di Niccolò Tommaseo 1834-1839 Lettere a Cesare Cantú, come mi vengono pórte dal suo diligente illustratore, troppo male avvisato s'egli ha creduto di rendere onore al ministro della pubblica istruzione del governo provvisorio veneto del 1848. E torna a proposito, oggi, il preoccuparsene.
      Lungi da noi la pretesa di disgregare una fama assodata e celebrata, di rimpicciolire una figura storica, che rappresenta alcuni atti di rinuncia coraggiosa e di lotta palese, in quegli anni in cui il fare ed il non fare procacciavano galera ed esilio ai migliori tra i nostri. Cosí, riconosceremo, che, per un suo articolo di convinta e pretta italianità, l'«Antologia» di Firenze, nel 1834 veniva soppressa dal Governo di quel Granduca.


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Scritti critici
di Gian Luigi Lucini
pagine 354

   





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