«Parigi, 11 maggio 1839. Foscolo aveva tre peccati addosso inesplicabili: era retore, era bugiardo, era vile. Cosí non pensava io giovanetto: ma ora che ho sentito qualche cosa anch'io e provato e parlato con chi lo conobbe, ho ragione di dire cosí».
Povere e misere ragioni di superstizioso cattolico, educato al becchime di uno zio frate a Sebenico, per quale congiuntura non so, ma classica al certo, rifattosi repubblicano; povere e tristi ragioni di un millantatore di sua coscienza, che s'illudeva di conoscere, che gli altri hanno conosciuto meglio di lui e ne sintetizzano in poche parole come vedremo appresso, degno epitaffio alla nessuna sua pietà sociale.
E non si arresta: che le logomachie dal Tommaseo combattute col Leopardi, gli furono esca ed accensione ad una sua grossolana ingiuria, piaggiando il Manzoni:
«Parigi 1836. Nel Duemila gli eruditi, rammentatori, dimostreranno il Manzoni panteista ed il Leopardi quacchero. Ma nel Duemila il Leopardi non avrà d'eminente nella opinione degli uomini né anco la spina dorsale, perché i vermi della sepoltura gliela avranno appianata».
Eccovi, in tutto, la carità cattolica! Piú attica e piú nobile l'invettiva del cantor di Ginestra: «Costui è asino italiano, anzi dalmatino» sorriso sarcastico di anima angosciata, stanca e grande.
Di tal passo, lungo le lettere, punge l'uno e l'altro; sia la Bianca Milesi Mojon, che si ridusse alla Riforma instruendone i figlioli; sia il Cattaneo che lo prese a letterarie scudisciate pel suo romanzo Fede e Bellezza; sia Elena Milesi vedova di un Viscontini e parente della nostra Matilde Dembowsky, donna di alto sentire, opposta alle bigotterie dei Damazz del biscottin che allora furoreggiavano a Milano sotto la paterna covata della usella di du bec.
| |
Sebenico Tommaseo Leopardi Manzoni Duemila Manzoni Leopardi Duemila Leopardi Ginestra Bianca Milesi Mojon Riforma Cattaneo Fede Bellezza Elena Milesi Viscontini Matilde Dembowsky Damazz Milano
|