I vittoriosi e non pare a prima vista, sono: il Gargiuin sciancato, intagliator di teschi sulle mazze di bosso, maligno ed arguto; l'Arfat, spranghino in cronica disoccupazione; il Marcôn, esaltato e profetico, cornacchia a predire per le campagne la buona ventura, filosofo fatalista; Apullinèr, ortolano dimesso dagli orti; Don Vitupèri, prete pezzente, socio di Miarú, gatto spelato e vibrante di fame; Schignott, il planipede scalzo, l'Ercole fulvo e vagabondo e Plé, il cane demolito, colla gabbia delle costole apparenti ricoperta dal pelame sucido, araldo di questi innocenti ed illuminati, per pochissimo vedere e per molto sentire, anarchici confessati.
E vi stanno a pari con evidente prosopopea, nella gloria, la muletta grigia, alacre alla salita, di buoni costumi, cavalcata dal Cavalier Mostardo nella impresa donchisciottiana e Fiut, l'asino macabro, vecchio di molteplici piaghe, ma rubizzo di nervo, che porta a scudiero, ultimo Sancio Panza, Marcon. Sí, che se il ciuco nervoso, dai facili entusiasmi, lungo il viaggio, accorge ed odora un'asina, e si mette a strombettare ragliando abbandona l'ambio e si dà al galoppo ineguale del desiderio, per inseguirla, eccitando allo steeple-chase rusticano la muletta; sulla radura dal bosco, in un prato verdissimo, scavalcano repubblica e anarchia, in bel congiungimento di fratellanza, davanti al compirsi d'un'opera d'amore, che Fiút or ora ha terminato, con assai gioia e compunta convinzione.
Ora, perché irritarsi se le scene non troppo riverenti ad una congregazione politica eccitano alle risa cordiali e ne sono porte con tanta disinvolta maestria?
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