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      Stia questa Romagna benedetta dal sole e dalle opere georgiche, ripullulante di vite giovani e sane, brumosa qualche istante di malinconia e di desiderii non al tutto distinti e palesi: e senta il bisogno delle agapi fraterne e grasse, dei brindisi chiassosi e sinceri, delle sgolate in piazza; ma contemperi, consacri tutto questo che soperchia e spumeggia, perché serva un giorno alla piú grande impresa del rinnovarsi, promessa data e sperato conseguimento.
      Tutto questo indicano Gli Uomini Rossi; e se è tale, è carità di patria. La sua ironia promana dalla passionalità della gente a cui l'autore appartiene: il Beltramelli è umorista appunto, perché vede e sente le cose pateticamente e con sentimento, e, delicato, ferito in cuore e triste, se compara ciò che potrebbe essere a quanto non è si esaspera del Carnevale della Democrazia che ne circonda; quindi non vinto o remissivo non si piega al silenzio, ma dà squilli di riso, facezia di baje, caricature e motteggi per soffocare le grida e l'invettive. Su ciò s'informa il suo stile; non è l'amara espressione del Pirandello; non la sceda continua ed incatenata di Henri Chateau nel Manuel de l'Arriviste; non la calma triste e disincantata di Jules Renard, riparato tra le corti delle fattorie coi galli e le papere per una sua Histoire naturelle; non l'iperbole dello Swift; la crudeltà macabra ed americana di Mark Twain; le trine, le spume leggiere e il gorgoglio del cachinno sommesso, la puntura di spillo, ed il mentito lenocinio elegante del moralista Willy; ma è la satira latina, l'arguzia della nostra commedia goldoniana, lo scherzo apparente per mascherare una piaga, la ricreazione di un uomo di lettere emotivo che ha bisogno di credere a qualche cosa di grande e che, per ora, giuoca colla propria anima a rimpiattino, cercando con ogni pretesto, di percuotersi, di agitarsi per sentirsi vivere, per vivere ridendo, libero, forse solo in una paganità di libere bellezze, in una incontrastata logica di natura insofferente di legami e di strettoie.


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Scritti critici
di Gian Luigi Lucini
pagine 354

   





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