Certo, Verlaine colla sua teoria delle nuances e Maeterlinck dalle Serres Chaudes, inspirano da lungi il Govoni. Ma quelle sue monache vegliarde, che passeggiano nei chiusi dei chiostri,
e le sparse campane, da le lorogrigie casuccie da le porte chiuse
che fanno la propaganda di morire, spatriano dai béguinages di Bruges chiusa e dolente, per venire ad ammalarsi, non di nostalgia ma d'indefinita e nascosta oziosità sotto ai cieli italiani. Ed amo raffigurarmi una cittadina dell'Umbria, tra l'ocra grassa dei campi ed il talco verde ed argentino delli alberi, che raccolga questa stanchezza di impuberi che non hanno ancora amato, di vecchie che se ne sono scordate, di vinte nella vita, o morte, o recluse, che sono indifferenti e riposano e si compiacciono della sola miseria di quella sconfitta.
Vi si recitano dei salterii, e la cera cola lenta sotto il bacio della fiammella tenue ed instancabile, vi s'incontrano delle candide clausure in miniatura, delle beghine freddolose ed incartapecorite, delle suore che hanno perduta la memoria dei loro anni e tutto è diffuso di una gran pace, nel vero, grande silenzio del raccoglimento e delle cose trapassate che ritornano vive nelle ombre e nei fantasmi del crepuscolo.
Corrado Govoni non assomiglia a nessuno; può essere fiero di questa sua distinta evidenza nelle minuzie e nelle piccole cose. Il suo mondo si racchiude tra le nubi angeliche ed azzurrine dell'incenso, in un muro bianco di orto conventuale, tra un fiumicello pigro e morbido, per dove vivono delle piccole anime assenti, degli esigui misteri, rivelati piú tosto da un profumo di lagrime e dal murmure di una preghiera che dal rimorso o dal rammarico.
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