A che terminare con un giudizio, cui l'attualità può forse ammettere, per il minuto fuggente, ma che il domani esautora e deride? Per ciò la tragedia, per essere un inno irrefrenato alla vita, deve compiacersi di una ecatombe: su cui Sainte Pourriture, serpe nottola, brago, fumo, assorbe il detrito, di uomini, di cose, di istituti di preveggenza, di destini, di poemi, lo riburatta nelli sconvolgimenti dell'epoca, per ripresentarli, alla luce del sole, al sole della istoria ed alla intelligente e sensibile bellezza della poesia avvenire.
Il leit-motiv di questo pessimismo stirneriano e romantico è ridato dalla dedica che il Marinetti prepone religiosamente al suo poema, La Ville Charnelle(39), ultimo uscito: «Ai miei becchini, perché, nell'estrema sera, sotto la carne stanca ed augusta di un bel cielo primaverile, e tra l'ingombro delle croci ebre e dell'erba appassionata, non vogliano barellare e scuotere il mio corpo, pensando alle labra feminili che l'hanno imbalsamato».
Città di carne: egli la scorge «che sonnecchia in abbandono, seduta, offrendo le sue terga alle carezze dell'aurora»; egli la vede, viaggiatore morso di sete e d'amore, colle sue moschee che fremono di desiderio, sotto al sole, che sorge dalle nuvole ardenti, immenso titano a sua guardia e goloso. Città di Carne, questa e quest'altro bel corpo feminile; alla gloria ed allo spasimo del quale egli ha sdegnato la solita mitologia di tutte le Veneri ed ha composto ancora mitologicamente, ad imagine della viva feminilità, l'edilizia meravigliosa ed enorme, palazzi, colonnati, giardini, per dove ha passeggiato la sua frenesia sempre insoddisfatta.
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