Invece l'arte sua è di tal tipo, quale la modernità, l'anima nostra, la nostra civiltà richiedono; e ci rappresenta come siamo insoddisfatti, in pretese e battaglie per quanto forse non ci sarà dato possedere mai.
E pure come il Marinetti sappia apprezzare anche l'altri, lo mostra quando scioglie i Dithyrambes in onore de' suoi poeti, li Epinici ai nostri ultimi carducciani che vanno tramontando, lasciando, pur troppo, un enorme vuoto nella lirica italiana, la quale è lenta a rifiorire, perché le manca ossigeno e soffoca in questa patria retta da una impropria monarchia, sorretta dalle manifatture a stampe ed a formole, corrotta dall'inganno commerciale, dalli egoismi rimunerati e rimunerativi, corretta dalla banalità, umiliata dall'assenteismo da tutto ciò che parla, canta, o grida l'ideale, nei libri, sulla piazza, nella stessa natura. Ad Ada Negri, - alla Tomba di Severino Ferrari, a Giovanni Marradi, epico della camicia rossa, - intreccia l'ultima corona di garofani e di allori: a Gustave Kahn, a de Regnier, a Viélé-Griffin, al Mauclair, alla Noailles definisce la fama; alla sua fantasia moderna ordina di volare velocissimamente su, piú in alto, oltre la possibilità, per confondersi nella «inebriante pienezza delli astri che scorrono scintillando sul gran letto del cielo».
In cospetto a questa intensa, complessa e fervida produzione, di cui i motivi principali sono l'esuberanza, il movimento, la plastica vigorosa, muscolosa e procace, il critico di professione ed il pedante salariato rimangono in sospeso in sul giudizio.
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