Cosí, li sforzi di tutti, non vincolati, raggiungono piú presto la meta, determinano altre scoperte, ne assicurano piú rapidamente il risultato.
F. T. Marinetti, che ebbe l'audacia di informare i suoi colleghi parigini delle mille ed una proprietà originali e d'imprestito, di cui va fornito il Barnum pescarese, è tra i piú giovani di questa generazione di poeti; si adottò a suo maestro Gustave Kahn, beau génie africain, come egli lo chiama, nato sotto quella latitudine, dove la Piramide e la Sfinge hanno accolto nella loro immobilità jeratica, sarcastica e tutt'ora trionfante sui confini del deserto, il comfort, il cant, e business inglesi senza preoccuparsene per riferirli alla storia in paragone.
Egli della classe privilegiata, rompe colle facili abitudini di una vita molle ed inerte e mette la sua poesia allo sbaraglio rivoluzionario del verso libero e del sovversismo: non teme di concorrere alla commemorazione decennale del 1898, mandando ad un «Numero unico» uscito a cura della Seminagione Laica l'Eloge à la Dynamite e non si formalizza di esser qui in compagnia di Cipriani, di Braccialarghe, dei galeotti del Tribunale militare e di Augusto Murri, rovere fulminato ma gigantesco ed ammirando. Ed è quegli, che può ridere in faccia al D'Annunzio, perché ne ha in qualche modo dei diritti naturali, spontanee attitudini, certo garbo sottile, sconcertante e misterioso per tentare una sapida caricatura.
[In «La Ragione», 27 agosto 1908.]EDMONDO DE AMICIS: Ricordi di un viaggio in Sicilia
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