Facciamoci un'ultima volta recitare le sue Scene. Ignaro di tecnica dramatica, impacciato nelle formole del teatro, incapace di creare un'azione - perché in lui ogni cosa è metafisica, nebbia, sogno, non tangibilità di plastica - lo udiamo, or prolisso, ora secco, con un dialogo che va, dalla preziosità minuziosa de' vocaboli ricercati alla trascurataggine verbosa del volgo.
Un pubblico speciale - assisteva ad un trattenimento di favore - a Milano e giustiziava Garofalo rosso; crudele ed insistente agonia in cui si spegne una decaduta cieca e querula, tra una vecchia serva paternostrante e rimbambita, ed un ex-marito canaglia, dentro le nude pareti di un ospizio di carità, raccontando una povera istoria di angoscie e d'amori passati.
L'insistenza sulla nota crudele irrita e appalesa che l'ascetismo prorompe dai centri nervosi inferiori, come la ferocia e la lussuria, elementi capitali di specifica approvazione nelle esperienze del Marquis de Sade.
Ascolteremo pure Il ritratto mascherato; postuma crisi di gelosia femminile, per un morto creduto fedele, e, di cui una dubbia fotografia, tradisce l'infedeltà; con intermezzo di querimonie domestiche e divote, trambusto di eredi affaccendati, mormorii di anime paurose e piccole a pena respiranti, tutte pervase dalla formidine oscura della religiosità.
Od uscirà di vampata Nadejda, bionda, franco-russa, unico frutto di una principessa slava e di un principe francese bagascione; quella esteta di tramonti e burrasche lacustri, di poeti inediti e di larghe terga servili, allora ufficiale-amante di un gran duca; questi una pedina d'alto garbo, biscazziere e legittimista.
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