Antonio Fogazzaro, dato l'inconveniente della sua epatite cronica, visse sempre ottimamente.
Nessuno meglio di lui, né meno l'abilissimo D'Annunzio, seppe sfruttare l'ambiente, l'avvenimento: battendosi le mani sullo stomaco, rispose: «presente!» ad ogni richiesta, mettendosi in prima fila: ha parole per il disastro ferroviario di Ponte Molle - appena tumulato Umberto nel Pantheon, di ritorno li invitati dal funebre - ne trovò per il terremoto calabrese; per Roosevelt, il piú antipatico barbaro in tournée per l'Italia; per l'inaugurazione di Caffè-antialcoolico.
Nessuno meglio di lui fu piú sagace amministratore della propria opera, della sua persona, né meno il genioso industriale delle proprie produzioni, Umberto Notari. Lo sanno i suoi editori; lo so io che fui tra questi, tratto dall'amore del libro e dai casi della mia irrequietezza speculativa a farmi, per una stagione, libraio in compagnia d'ottimi commercianti; i quali, naturalmente, volevano far delli affari, mentre io desiderava aiutare all'arte.
Cosí, conobbi l'autore del Piccolo mondo antico: sottoscrissi con lui qualche contratto ad hoc; ho qui, oggi, davanti un mucchio di lettere dalle quali il garbo letterario sfuma, rimanendovi solamente la cifra.
Cosí, salii, in una bella giornata di giugno, a Velo d'Astico per incontrarlo e vederlo incorniciato dalle Seghe di Velo, nel paesaggio topico che le circondava, in quella Villa Valmarana, che gli serví di sfondo per i primi capitoli del Daniele Cortis: e mi imbattei, a prima entrata, in valletti d'anticamera chierici, in segretarii di scrittoio chierici, ed una chiara conventualità di freschezza alpina e primaverile.
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