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      Tra i quali, io, l'altro giorno, ho noverato, promosso all'onore della inserzione sopra il massimo de' giornali editoriali d'Italia, il «Corriere della Sera», anche un Sem Benelli: verso cui la mia stima andava volentieri, esso in modesta oscurità; contro cui la mia critica non tace, dopo i successi ben accomodati delle ribalte e quel suo fare, tra lo schivo ed il supponente, assunto di fresco, già che il poeta trovasi padrone e signore di villa San Terenzio, e la subita fortuna mi presagisce, non solo fama incerta, ma gloria nulla.
      E San Terenzio, che risponde a Porto Venere, illustrato dal suo golfo tirrenico e mitologico, tragico di morti e sonante di epopee, richiese pure da Shelley la magnificenza del suo naufragio, da Byron e dall'anarchico figlio di famiglia inglese, Trelawnay stipe ed olio e sale, al rogo, per quello; da Wagner l'aureo e fiammeo scoscendere delle fiamme e dell'oro melodico del Reno; da Carducci l'impeto ghibellino e la pietà per l'agonia del suo caro Severino Ferrari; dal geniale antropologo, che seppe temperare la necessaria crudeltà della scienza, la disincantevole e catastrofica predizione clinica, alle grazie dell'arte della parola - da Paolo Mantegazza - l'ultimo respiro.
      E San Terenzio richiese, colla voce di un comitato, che vuol erigere a specchio del mare un ricordo a Wagner, un inno all'ultimo occupatore del trespolo forse che sí forse che no deserto ed oggi vacante; d'ond'egli, interrogato il cielo, le onde, la notte, Regia Parnassi e Laus Vitae, uno se ne svelse dai precordii, quasi futurista, con intenzione classica, con garbo moderno, con ali d'Icaro impeciate, monoplano a motore ridotto e pericolante, perché andasse pel cielo, radendo coll'elica il mare, carezza alla notte, in ritmo di Regia Parnassi, colle future probabilità specifiche di Laus Vitae, veramente ispirato dai piú che sí timorosi precordi se piú che no dovesse accostarsi al modo del suo antico amico F. T. Marinetti, o bighellonarsi in esazioni piú facili, col taglieggiare, con veste di Vincenzo Monti, la trucolenza inglesemente latina di uno Swinburne, riletto sulle traduzioni francesi, che vende lo Stock a Parigi.


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Scritti critici
di Gian Luigi Lucini
pagine 354

   





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