Codesta non è unicamente la mia ultima opinione personale. Si sente il bisogno della sincerità, anche a costo dell'incorrettezza, della lealtà, anche condita di franchezza inurbana. Non piú cincischii, non piú ricchezze d'apparato, fronzoli, falpalà, frangie, lavorini posticci, parrucche finte, piú finti occhiali, studiate smorfie e grinte e sorrisi e raggricciamenti di labra e strizzatine di palpebre, ed attucci a reprimere, a prevenire e tutto il lenocinio, che precede, accompagna, segue la parola, il filo, l'intenzione del discorso!
Vogliamo trovarci davanti a gente viva, che rida, che pianga, che disperi, che gioisca, che farnetichi, impazzi, s'incieli, s'indii, bestemi; come deve fare un uomo d'oggi in terra nostra, colle nostre tare sociali, morali e di nascita; vogliamo essere rappresentati. La grande letteratura, la cosí-detta grande non ci rappresenta piú!
Giova allora che una rivista milanese, e che parrà a molti clandestina, «Il Bacio» bandisca un concorso di poesia dialettale, posta al vincitore mille lire; giova, che, dalle miserie della decadenza festajuola di Piedigrotta, si risollevi la canzone napoletana, e che la bosinada milanese riacquisti timbro e potestà satirica protetta da Carlo Porta. Qui, stiamo colle maschere vere, che, simboli, tipi e miti, erotti dalla coscienza popolare, la riassumono e determinano la sua energia. Ripullolerà la Comedia d'Arte? Sarà dato all'attore facoltà di improvvisazione, di fiorettature, di variare, sul concetto, l'estemporaneità? È ancora tempo, che, in piazza, la satira veniva parlata dal Meneghino Moncalvo, che faceva recitar le sue teste di legno dal '48 al '59, in Milano, custodito dalla benemerita salvaguardia dei due pollin, incappellati di impiumati sciabò d'austriaci dindi; convien pure, che, questo Meneghino di stoppa e di filo di ferro, impari da Gustavo Modena, applauditore frenetico del Moncalvo, il gesto alfieriano.
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