Fatto che può essere stato vero, ma che io chiamo americano (sapete, da Amerigo Vespucci, colui che non scoperse l'America ma la descrisse) fatto, che aveva già trovato il suo Colombo fors'anche in me, per quanto orso di prima categoria e solitario, non bell'animale gajetto e lustro di società, giornalmente in esposizione nei cenacoli letterari di Roma.
Codesto orso, a proposito de La via del Rifugio, si era sentito obbligato a doversi esprimere mentre gli altri piú ciarlieri e socievoli abitatori della ménagerie non sapevano dove orientarsi, da un numero de «La Giovane Italia» (allora rivista mensile e non ancora blasonata dalla scala a pijuoli del Notari - «per costruire» o «per arrivarci»?) del febbraio 1909, tra il resto, cosí: «Guido Gozzano riempie, colla sua nota personale, un vuoto che deplorava nella orchestra della giovane nostra poesia: egli vi resisterà od io mi inganno.
Quanto Charles Guérin, Francis Jammes, Stuart Merrill espressero ed esprimono, per tre voci diverse ma intonate ad uno stesso registro, egli solo dice tra noi colla sua breve Via del Rifugio».
Ma, proprio adesso, in sulla soglia d'entrata dei Colloqui, dove quelle due figure non dimettono il bacio, sostato dopo di essere uscito dalla casa, cui sono preposte, mi si fanno color di fuoco le mie parole: «egli vi resisterà od io mi inganno»: e la seconda parte del dilemma mi cade sulla penna imprudente ed avventata, quasi con un fendente d'accetta me la volesse spaccare.
Ho errato nella assai difficile professione di profeta?
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