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      E l'avrei seguito volentieri per le allee dei suoi nuovissimi martelliani, pei portichetti binati dei suoi endecasillabi in quartina; e l'avrei visto ed udito tanto volentieri gestire, parlare; uomo, seriamente, additare ad una méta, dirigersi ad una conquista! Ed ho amato l'embrione di un letterato e di un poeta, che sperava non potesse mai divenire né una cariatide d'academia, né un'importanza da salotto; che non si sarebbe esposto al pubblico mai come una colonna di virtú civica, di ragione economica, di benemerenze sociali, di moralità costituzionali; l'ho proteso nell'imaginazione e nel desiderio, ristauratore di una nuova coscienza poetica, smascheratore di artifici e di baute carnevalesche, debellatore sereno di menzogne e di ipocrisie: e mi sono atrocemente ingannato?...
      Rifondere Musset e Byron, bissessuare una poesia mostruosa siderale e terribile? Perché aneli al culto cainita ed al dandysmo e ce ne imponga il rito? Ho torto: come Guido Gozzano, che si applica, con la melancolia une legère couche de fard sombre sur les joues. Ahimè, il lenocinio cosmetico lo perde; io sto ad ammirare con ira, affetto ed insieme curiosità li sforzi di un artista inconsciamente perverso contro di sé, che, per scrupolo di coscienza, sta deturpandosi le sue migliori virtú, col ripeterne li accenti.
      [In «La Ragione», 14 luglio 1911.]DOSSI E L'UMORISMO
      Allora, riuscito dolorosamente dalla tempesta, per fortuna sua, ferito ma non sconciato, mentre altri coetanei, troppo ammalati del morbo del secolo, si erano lasciati sommergere dai flutti, o vi si erano abbandonati, mal vivi, alla deriva; Carlo Dossi riguarda a torno; ripensa e commemora il suo menegmo Alberto Pisani scomparso; numera ed appostilla quanto si trova vicino, volti d'uomini, aspetti d'animali, presenze di cose, avvicendarsi di gesti e di fenomeni, la cronaca morale del paesaggio cotidiano, la pratica utilitaria condecorata dal titolo di virtú cui la società ne richiede per il comodo della ipocrisia, pel vantaggio dei privilegi, per la facilità di sopportarci a vicenda, in bilancia, sull'odio e la paura reciproca, con urbanità, verso il nostro prossimo.


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Scritti critici
di Gian Luigi Lucini
pagine 354

   





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