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      Donde, con Satana, il poeta interpretava l'universo esteticamente, in una verità piú alta e piú sicura, oltre e contro il Jehova, oltre la menzogna, oltre le debolezze scusate e sollecitate; oltre il ripiego comodo dell'ignoranza, ch'egli condanna e maledice, mezzo infame di governare.
      Da allora, la sua dottrina fu completa; da allora cercò di manifestarsi, in una poetica, che, senza ostare alla tradizione letteraria, la innerbasse con un mezzo piú solido e piú denso. - Da allora, il cristianesimo gli apparve, sino dalle origini, fatalmente nemico dell'arte; egli fugge la Chiesa gotica, ma passeggia sul Foro. Il Cristianesimo, che ha il disgusto della vita, tenta di dissimularlo per divenire una necessità sociale, addomesticato nei servigi religiosi e pagati dalli stati moderni; ma, in fondo, l'odio per la bellezza si tramuta in fede; il disprezzo per il benessere fisico e la fierezza morale, nella speranza di un'altra vita, nell'anatema contro le passioni e la voluttà, nel desiderare il nulla e la morte, come una liberazione da questo mondo improprio alla vita dell'anima. - No: all'uomo civile, all'uomo dotato di ricchezze mecaniche, di strumenti perfetti, di cognizioni esatte, non poteva bastare la melopea su due toni, che scande, per il barbaro, la preghiera e lo scongiuro; che serví al sacerdote, debole geronte, depositario di misteri, a spaventare il barbaro fulvo, armato d'azza e bracato, e l'Unno unto di sego e puzzolente di pelli ferine, mal conciate ed umide. L'uomo moderno deve rifiutare i contorcimenti, le evanescenze, i sogni confusi, le morbidità epilettiche, per un presupposto spiegato piú chiaramente e senza li apparati formidabili di una sacra stregoneria: l'anima greca era vissuta in piena bellezza; là, se il delitto era fatale, appariva necessario, come le differenze delli esseri in natura: l'anima romana vi aveva disegnato, a grandi tratti, una gerarchia che rispettava la natura, rispettata dai secoli, per una utilità: bellezze ed utilità erano il pensiero umano, il perché del vivere morale.


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Scritti critici
di Gian Luigi Lucini
pagine 354

   





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